Comunicare il calcio, educare i tifosi

campo-allagato

Giovedì pomeriggio, campetto di provincia, sole basso. Mio figlio di 8 anni gioca a calcio con gli amici per divertirsi, ce ne sono di più grandi e coetanei. Tutti under 12. Mi godo la scena, partono tanti ricordi. Faccio due tiri con loro, mi metto in porta e li sfido. Tutto bello. Poi li lascio giocare e inizia la loro partita. Succede una cosa.

“Abbiamo bisogno dell’arbitro. Può farlo lei?” Ai miei tempi, si giocava sempre senza arbitro. Ci si arbitrava da soli, poi partiva qualche litigio ma la regola era quella. Per loro invece è fondamentale. Rispondo di sì. La partita inizia e dopo 5 minuti ho già segnalato 3 falli. Tutti più che volontari, uno decisamente cattivo, non scontri casuali normali tra bambini di 8/10 anni. In più, a ogni cosa vengono lì a protestare. Protestano sempre. Pensano più a protestare che a giocare. Sanno esattamente come funzionano i cartellini (mio figlio no), che fallo dell’ultimo uomo è rigore ed espulsione (mio figlio no), che esiste la squalifica di varie giornate per chi è espulso (mio figlio no).

Mi ha fatto un certo effetto. Certo, mica ai miei tempi di ragazzino era tutto rose e fiori, anzi. Ma per noi l’arbitro era del tutto superfluo. Ora pare fondamentale, come se servisse qualcuno con cui prendersela. Mi sa che stiamo sbagliando tutto nel comunicare il calcio. Nel parlare per settimane di errori, polemiche, complotti, tornei falsati e sconfitte avvenute per colpa di altri. E il gioco? Tonnellate di polemiche con qualche gol in slow motion. Penso a una bellissima partita come Napoli-Juventus: polemica di Higuain, mancato fair play di Sarri, bufera sui social e via andare. Poi ho letto questo.

Non stiamo facendo un buon lavoro, stiamo rovinando il gioco. Noi tutti. E i bambini imparano, perché così glielo raccontiamo. Male. Una brutta storia.

A me piacciono quelle raccontate bene. Qui sotto vedete un esempio.


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