Poco più di un anno fa avevo scritto del Metaverso, che all’epoca era the next big thing e magari lo diventerà davvero. Intanto Meta, ossia Facebook e Whatsapp, ha licenziato altri 10mila dipendenti – il 12% del totale, giusto per capire il quadro – e il metaverso è un po’ uscito dalle home page e dai trending topic. Sembra un futuro ancora probabile ma un po’ meno cool. Così com’era già accaduto alla blockchain e agli NFT, questi ultimi ormai balzati agli onori delle cronache più per le truffe che per altro (e infatti Meta taglia anche quelli). Forse ci facciamo sempre prendere un po’ troppo da facili entusiasmi? Forse.
Nel frattempo è arrivata l’intelligenza artificiale. Esce GPT-4 e non si parla d’altro. Devo dire che, personalmente, ChatGPT mi ha impressionato molto più di altre novità ineluttabili, innanzitutto su una cosa: se ne capisce molto bene l’utilità anche per noi fruitori, cosa che per il metaverso era forse molto chiara per i produttori, molto meno per noi. Come scrive Miriam Bertoli qui, “se fossi una marketing manager, non dormirei di notte”. Le potenzialità sembrano davvero sconfinate e noi umani sembriamo decisamente in difficoltà su quello che credevamo fosse solo nostro: creatività, idee, strategie.
Ma, come sempre, ci sono altri lati della medaglia e non sono solo due. Per essere una cosa sostenibile nel futuro, l’IA deve avere un modello di business. E qual è? Persone molto brillanti se lo sono chiesto – come Peter Krueger e Daniele Della Seta (consiglio: seguitelo) – e le risposte non sono confortanti. ChatGPT costa tanto. Ogni singola query di ChatGPT costa 7-10 volte più di una query su Google, senza però avere quella fantasmagorica macchina da schei che è Google ADS. L’ipotesi di una subscription può funzionare? Forse all’inizio ma poi dovrà trovare un modello di business più profittevole. Stiamo a vedere.
Altro lato della medaglia, i contenuti. L’IA dove va a pescare le informazioni per darci le risposte? Non si sa. Potrebbe prenderle da contenuti e informazioni pubbliche ma anche da documenti protetti da privacy, da diritti d’autore e da tante altre cose. Come scrive James Bridle sul Guardian, le prende da contenuti pensati e scritti da esseri umani, anzi se ne appropria, li fa suoi e li inscatola in modo nuovo. E il copyright? E i diritti? Se negli Stati Uniti la clausola del fair use permette di utilizzare materiale protetto per scopi d’informazione, critica o insegnamento senza chiedere l’autorizzazione scritta a chi detiene i diritti, per un’ottica europea è quantomeno un tema da discutere. E intanto nascono sospetti sulle prime tesi di laurea.
Siamo all’inizio di una nuova era, lo si dice sempre. Ma l’intelligenza, artificiale e non, non è solo produrre contenuti buoni in tempi rapidissimi. Contiene anche riflessione, empatia, emozioni, pensiero critico e tanto altro. Mai come in questi tempi servono più filosofi e umanisti, dobbiamo capire che futuro vogliamo. Partendo da questa lezione.
The lesson of the current wave of “artificial intelligence”, I feel, is that intelligence is a poor thing when it is imagined by corporations.
James Bridle